BLACK LIST ALLERGENI: SI CHIEDE CHIAREZZA ALLO STATO
Come preannunciato e trattato nei precedenti numeri, a partire dal 13 Dicembre 2014 è entrata in vigore la parte del Reg. UE 1169/2011 che detta nuove regole in materia di etichettatura per i prodotti preimballati e impone nuovi canali di comunicazione sulla dichiarazione degli allergeni anche al settore della “somministrazione di alimenti”, ovvero nel settore della ristorazione pubblica (collettiva e commerciale).
Diverse le divergenze di opinioni che hanno visto scendere in campo, destando non poco scompiglio, le associazioni che prendono le difese dei consumatori che hanno particolari esigenze nutrizionali e le associazioni/opinion leader che chiedono di semplificare le norme e di avere linee-guida chiare per gli esercizi pubblici (bar, ristoranti, hotel, luoghi di consumo).
FIPE, Coldiretti, ASL, Federasma e Allergie onlus, Il Fatto Alimentare, Giornalisti, Politici: queste le principali categorie scese in campo con dibattiti animati quando si entra nel vivo sul “come” gli allergeni presenti nella cosiddetta Blacklist UE debbano essere comunicati ai consumatori.
In particolar modo il pomo della discordia, derivante sicuramente da un’informazione troncata da parte dello stesso Regolamento, riguarda la richiesta degli esercizi pubblici di allinearsi alle procedure adottate da Gran Bretagna, Germania, Francia, Olanda, Belgio, Austria, Slovenia, Grecia, Croazia; sostituendo l’obbligo di comunicazione scritta su menu, registri, ricettari con quello della comunicazione verbale.
Questa modalità di comunicazione verbale, ammesso che sia efficace e correttamente attuabile (non dimentichiamo l’elevato turn over del personale e il cambio delle materie prime e dei menu offerti), farebbe risparmiare ai ristoratori, secondo stime di Confcommercio, “50 milioni di euro” per adeguarsi al nuovo Regolamento.
A prescindere da quelli che saranno gli sviluppi normativi in sede europea e nazionale, un elevato livello di prevenzione e di tutela della salute dei consumatori può essere mantenuto nelle seguenti circostanze:
- acquisto di prodotti da fornitori qualificati e costanti nel tempo;
- semplificazione del menu e controllo delle variazioni del numero di piatti;
- possiede una lista dettagliata degli ingredienti usati per la preparazione dei cibi (menu, ricettario);
- formazione di una figura preposta a dare informazioni corrette ed a fornire risposte precise nel caso di domande da parte del cliente.
Certo è che l’adozione intrapresa da molti operatori per risolvere la questione attraverso il cosiddetto “Cartello unico degli ingredienti” non è sufficiente, ovvero non tutelante il consumatore, in quanto il Regolamento prescrive un’informazione specifica sulla presenza di allergeni in ogni prodotto, sia esso preimballato (preconfezionato all’origine) oppure sfuso (preincartato nell’esercizio di vendita o di somministrazione).
“Salus populi suprema lex exto” proferiva Cicerone nel De Legibus, dove la parola “salus – salvezza – salute” sta alla base di ogni Costituzione in quanto patrimonio imprescindibile del singolo e della collettività.
Pertanto le persone con esigenze nutrizionali particolari hanno il diritto di accedere a informazioni precise e chiare su cosa mangiano ed i gestori dei ristoranti hanno il dovere di comunicare e mettere a disposizione tali informazioni che impattano sulla sicurezza e la salute dei cittadini.
Ma la questione sembra ben lontana dall’essere risolta se non con l’intervento dello Stato, che attraverso i propri uffici competenti centrali e territoriali, si deve assumere la responsabilità di dirimere la questione definendo uno strumento chiaro, non soggetto a libera interpretazione e capace di coniugare la necessità della comunicazione con le esigenze gestionali dei ristoratori.
Effimero quindi, dover ricorrere al trucco di inutili proroghe, che non risolvono i problemi, considerando anche il tempo trascorso tra la pubblicazione della norma nel 2011 e la sua entrata in vigore a fine 2014.