Dallo sviluppo delle competenze alla rivoluzione culturale per governare i processi aziendali e di filiera
Nell’ultimo decennio le imprese del settore F&B inteso come l’insieme delle attività riferite direttamente al comparto alimentare, della ristorazione, dell’ospitalità ed in maniera indiretta – al turismo ed all’intrattenimento, hanno dovuto affrontare un grave problema: la carenza di personale qualificato a tutti i livelli.
Massimo Artorige Giubilesi per la rivista Produzione & Igiene, Alimenti
La crisi di disoccupazione – paradossi e realtà
La pandemia ha accentuato molti problemi e l’arrivo delle tanto attese aperture, ha fatto emergere problematiche di vario genere. Oltre alla necessità di adempimenti burocratici ed una serie di attività legate alle misure di contenimento sanitario, tantissimi Operatori si sono trovati di fronte ad un’offerta carente di posti di lavoro, dagli apprendisti ai camerieri sino ai responsabili ed in certi casi anche alle posizioni dirigenziali.
L’ultimo profilo tracciato dall’Istat ha evidenziato un paradosso: a fronte degli oltre 800.000 posti di lavoro calati dall’inizio della pandemia, sono circa 230.000 quelli rimasti tuttora orfani, con un calo particolarmente significativo per quanto riguarda i lavoratori stagionali.
Il tasso di disoccupazione giovanile al 34% e le oltre 150.000 figure professionali che mancano all’appello, tra camerieri, barman, cuochi e aiuto cuochi, lavapiatti e addetti alle pulizie interne, rappresentano il paradosso imbarazzante del momento.
Problema strutturale, certamente figlio di una risposta con svariate sfaccettature: fuga dall’HORECA verso l’estero o altri settori economici, ritorno a casa, reddito di cittadinanza, deriva delle scuole professionali?
L’opinione pubblica e quella delle associazioni professionali e di categoria si è espressa con diverse opinioni circa la causa di quel fenomeno, che ricordiamoci, non è nuovo per il settore food & hospitality. La pandemia, anche in questo caso ha portato a galla vecchie problematiche che riemergendo nella fase particolare che stiamo attraversando, rischia di provocare ulteriori danni a un comparto già messo a durissima prova.
Riflettendo in questo senso sulle prospettive del prossimo futuro, emergono altri dati statistici diffusi dall’ONU che parlano chiaro: nel 2050 saremo quasi 10 miliardi di persone e 8,6 miliardi solo nel 2030, anno cruciale anche per il raggiungimento degli obiettivi contenuti nell’Agenda sullo Sviluppo Sostenibile con un programma ambizioso sottoscritto da 193 Paesi membri delle Nazioni Unite nel 2015.
Secondo lo stesso studio, nonostante gli sforzi di sensibilizzazione e le azioni intraprese da più parti – che a volte sembrano più attività legate alla comunicazione e alla promozione, piuttosto che a fatti reali – nel 2018 la fame nel mondo non ha accennato a diminuire, anzi.
Dati preoccupanti confermati anche dalla FAO, secondo i quali da 811 milioni di persone senza cibo a sufficienza, siamo passati a 820 milioni. Forse è il caso di dire che facciamo progressi, ma in negativo. La produzione alimentare, messa a dura prova dai cambiamenti climatici, dalla pandemia, dalla carenza di personale, dalla burocrazia export-import, continua a registrare numeri record di spreco di cibo.
E se a prima vista gli argomenti sembrano non collegati, siamo chiamati a vederli da un’altra prospettiva: se la popolazione mondiale continua a crescere a ritmo costante, è evidente la necessità di dover produrre sempre più cibo. I metodi tradizionali di coltivazione/allevamento/produzione non possono essere sufficienti a far fronte a una crescita così imponente della domanda, ma anche alla sfida climatica ed alla mancanza di manodopera generica e qualificata. Diventerà cruciale quindi sviluppare e introdurre in larga scala tecnologie di filiera alternative e meno impattanti sull’ambiente nelle fasi di lavorazione, trasformazione, conservazione, trasporto e stoccaggio.
Prospettive per il futuro del settore agroalimentare
Con molta probabilità nel prossimo immediato futuro il fattore più importante e distintivo per le aziende che operano nel settore alimentare a tutti i livelli, sarà la capacità di adottare, applicare e saper utilizzare queste nuove tecnologie.
Certamente anche la nostra figura professionale di Tecnologi Alimentari dovrà fare i conti con il cambiamento già in atto dei modelli sociali ed economici, anticipando le evoluzioni del settore e impadronendosi di nuove abilità e competenze che devono già derivare dal percorso universitario (soft skills, hard skills) e dai successivi percorsi di alta formazione e di qualifica professionale. Non viene richiesto solo uno sviluppo delle competenze, ma una vera e propria rivoluzione culturale per creare specialisti con una visione ampia e profonda del mercato.
La filiera alimentare diventa sempre più articolata e complessa, pertanto necessita “specialisti multitasking” che sappiano parlare di produzione di materie prime, di conservazione, manipolazione, distribuzione, logistica, vendita, somministrazione, comunicazione, senza trascurare tutte le altre attività di supporto ai processi aziendali.
L’industria alimentare sta già modificando tantissime delle attività attuali, inserendo e richiedendo nuove figure professionali dotate di visione multidisciplinare evoluta, soprattutto nell’area Innovazione, Food Design, R&D, Qualità e Sicurezza, Sanificazione ambientale.
È fondamentale quindi per i Tecnologi Alimentari, continuare ad impegnarsi sul campo, puntare al continuo aggiornamento del percorso di studi, investendo in formazione specializzata anche e soprattutto nelle competenze digitali, perché il futuro sarà sempre più condizionato dall’avanzamento tecnologico necessario per governare i processi aziendali e di filiera.